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Codice della Crisi: Il diritto del creditore alla compensazione resiste alla revocatoria fallimentare

La compensazione legale e quella giudiziale non sono assoggettabili alla revocatoria fallimentare

Daniela Carloni – Studio Legale Iannaccone e Associati

La compensazione legale e quella giudiziale non sono assoggettabili alla revocatoria fallimentare. Lo ha stabilito il Tribunale di Roma con una recente sentenza (n. 1076/2024) con la quale ha respinto l’azione revocatoria promossa da una procedura di Amministrazione Straordinaria.
Pur essendo riferita ad un’azione revocatoria promossa da una procedura di Amministrazione Straordinaria avviata sotto il vigore della vecchia legge fallimentare,  a nostro avviso la condivisibile analisi svolta dal Tribunale di Roma può trovare piena validità ed applicabilità anche rispetto al Codice della Crisi, che non ha mutato le previsioni normative di cui agli articoli 56 e 67, comma 2, della legge fallimentare.
Nello specifico, il primo comma dell’art. 56 l. fall. è stato semplicemente riprodotto (con i necessari adeguamenti lessicali) nel primo comma dell’art. 155 CCII; la seconda previsione normativa ha, invece, trovato collocazione nel secondo comma dell’art. 166 CCII.
Ricostruiamo la questione, utile nelle ipotesi di amministrazione straordinaria.

L’istituto della compensazione legale nei casi di fallimento.

La compensazione legale rappresenta una modalità di estinzione delle obbligazioni, che si verifica in modo automatico, per il semplice fatto della coesistenza dei due debiti.

L’istituto della compensazione ha trovato pieno riconoscimento anche in sede fallimentare, attraverso la previsione dell’art. 56 l. fall., norma che -come noto- attribuisce ai creditori il diritto di compensare con i loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso.

La norma appena citata contempla una vera e propria forma di compensazione legale, addirittura ampliata nel suo ambito di applicazione rispetto alla previsione codicistica. Mentre, infatti, la compensazione di cui all’art. 1243 del codice civile si riferisce a crediti entrambi esigibili, la compensazione di cui all’art. 56 l. fall. può essere fatta valere dal creditore del fallito ancorché i contrapposti crediti non siano ancora scaduti alla data della dichiarazione di fallimento.

La ratio della norma è stata individuata in una esigenza di giustizia sostanziale, ritenendosi iniquo che il titolare al contempo di un credito e di un debito verso il fallito debba, da un lato, soddisfare integralmente il debito e, dall’altro lato, subire la falcidia fallimentare del credito (si veda Cass. 13 gennaio 2009, n. 481).

Le condizioni per la compensazione dei crediti nel fallimento. L’unica condizione posta dal legislatore per l’operatività della compensazione di cui all’art. 56 l. fall. è che entrambi i crediti contrapposti preesistano al fallimento e tale preesistenza deve essere intesa nel senso di anteriorità del fatto genetico dei debiti rispetto alla data della sentenza di fallimento.

Sempre su un piano generale, merita poi di essere rimarcato che, come correttamente osservato in dottrina, la norma dell’art. 56 l. fall. non pone alcuna questione in ordine alla natura dei crediti/debiti che si contrappongono e che vengono sanciti come reciprocamente ed integralmente compensabili, sicché non deve trattarsi di crediti di pari natura. Sono cioè compensabili crediti e debiti a prescindere dal fatto che uno sia privilegiato e l’altro chirografario, poiché la regola della compensazione opera “a monte”, elidendo sul nascere le reciproche ragioni.

In definitiva, la compensazione è riconosciuta dalla giurisprudenza come un diritto dei creditori, il cui legittimo esercizio non comporta di per sé alcuna violazione della par condicio creditorum, ad eccezione del caso in cui la genesi del reciproco rapporto sinallagmatico sia stata caratterizzata da elementi di fittizietà, creati appositamente dalle parti proprio per avvalersi del meccanismo automatico della compensazione.

La compensazione legale è esclusa dalla revocatoria fallimentare. Proprio perché si tratta di una modalità di estinzione delle obbligazioni diversa dal pagamento, la compensazione è per sua natura esclusa dall’ambito di applicazione della revocatoria fallimentare di cui all’articolo 67, comma 2, della legge fallimentare. 

Ed è proprio così che si è espresso il Tribunale di Roma con la sentenza che qui segnaliamo, con la quale ha respinto l’azione revocatoria promossa da una procedura di Amministrazione Straordinaria. Il Tribunale capitolino ha chiarito che “La compensazione tra reciproci crediti esigibili anteriori al fallimento (o all’apertura dell’A.S.) non è soggetta a revocatoria in quanto realizza un effetto estintivo delle rispettive poste previsto dalla legge, che può essere ottenuto anche nel fallimento (o nell’A.S.), giusto il disposto del primo comma dell’art. 56 legge fallimentare”. Ed infatti, sostiene il Tribunale, con la compensazione non si realizza alcuna forma di pagamento, giacché il terzo non riceve alcuna somma di denaro, ma gli viene soltanto consentito di non versare al fallimento (o all’A.S.) l’importo di cui era debitore nei confronti del fallito (o del debitore in A.S.).

La differenza con la compensazione volontaria. Nello svolgimento della propria analisi, la sentenza in questione rimarca come non siano revocabili né la compensazione legale, in quanto effetto automatico dell’applicazione di una norma di legge, né la compensazione giudiziale, in quanto frutto di un provvedimento giurisdizionale. Diverso è il discorso per la compensazione volontaria, che si verifica in forza di un apposito accordo tra le parti, in assenza dei presupposti per la compensazione legale.

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